Apprendimento e AI: verso il collasso informativo?

Alla luce degli ultimi avanzamenti dell’AI Generativa, dei vari sistemi conversazionali alla ChatGPT, che stanno diventando anche un imprescindibile punto di partenza per il nostro apprendimento di base (con tutti i pericoli del caso), sempre più pervasivi nella nostra alimentazione quotidiana di conoscenza, mi sono immaginato un futuro distopico (quanto lontano?), nel quale le macchine hanno esaurito i dati freschi dai quali apprendere (quelli che noi abbiamo prodotto per secoli), e gli umani apprendono esclusivamente da queste macchine che hanno raggiunto il limite del loro potenziale di apprendimento. 

Questo accoppiamento nefasto in cui noi apprendiamo da sistemi che si alimentano in ultima analisi tramite “nuovi” dati che non sono altro che il riciclo di una conoscenza che essi stessi hanno generato,  potrebbe prefigurare un vero e proprio collasso informativo, secondo il quale, senza neanche accorgercene, arriviamo a una specie di stato stazionario della conoscenza, che non so a quali conseguenze possa portare. 

In realtà questo scenario così disturbante può essere mitigato sia sul fronte della nuova conoscenza che dei nuovi dati, in una prospettiva in cui sia le macchine che gli umani si impegnano il più possibile in una collaborazione che li veda protagonisti in ruoli ben strutturati e complementari.

Innanzitutto non è affatto detto che le macchine non siano in grado da sole di generare nuova conoscenza, come hanno fatto gli umani fino a oggi costruendo una sorta di cattedrale del sapere, che nel tempo si è sviluppata sui livelli costruiti dalle generazioni precedenti. Anche loro potrebbero appoggiarsi sulla conoscenza che abbiamo prodotto per andare oltre. 

Pur non avendo un impianto prettamente logico i cosiddetti LLM (Large Language Models) sembra abbiamo in nuce questa possibilità. Quando li interroghiamo e li spingiamo a dirci qualcosa che non sappiamo, magari anche qualcosa che non è mai stato esplorato o dimostrato in quella modalità, mostrano un certa forma di creatività logica che ci sorprende. È probabile che questa propensione possa essere favorita complementando gli LLM con strutture logico/semantiche predisposte dagli umani, che ne irrobustiscono l’impianto ontologico e ne estendono le potenzialità conoscitive, oltre a limitare le possibili allucinazioni. In questa direzione sono di recente emersi i Graph-RAG (RAG per Retrieval-Augmented Generation), che “aumentano” gli LLM con i Knowledge Graph

Lato nostro il compito potrebbe essere di sforzarci nel coltivare un pensiero parzialmente indipendente dai sistemi automatici, di modo da poter sempre contribuire con qualcosa di originale che derivi dalle nostre attività cerebrali, dai nostri neuroni, assoni, dendriti e sinapsi, fisiche. Come si diceva un tempo: spremersi le meningi!

Sul lato dei dati la situazione è più complicata. Esaurita la scorpacciata dei Big Data, che continueremo senz’altro a produrre quotidianamente, tramite soprattutto i Social Network, gli LLM saranno talmente famelici da avere necessità di produrli da soli. Quindi poter esplorare il mondo in maniera autonoma, vedere cose, ascoltare voci e suoni nell’ambiente, sentire la natura e interagire con essa, inclusa la sua espressione umana, ciò che avverrà molto probabilmente anche con lo sviluppo della robotica. 

Questa forma di apprendimento autonoma in una sua forma molto elementare e controllata dagli umani è quella che va sotto il nome di Reinforcement learning. Noi, dal canto nostro, dovremo esplorare con più intensità il mondo che ci circonda, senza l’ausilio di strumenti digitali. È questa l’unica strada per creare contenuti freschi, per noi e per le macchine, con il duplice risultato di alimentare il nostro cervello di immagini nuove di zecca e potenzialmente di nuovi contenuti da offrire all’infosfera.

In questo quadro le aziende hanno davanti una grande sfida, ma anche grandi opportunità. Sia sul fronte delle prassi e dei processi, che sul fronte puramente informativo legato ai dati. Infatti posseggono un asset proprietario che ora hanno quasi l’obbligo di mettere a frutto: la conoscenza. 

Se un tempo l’identità aziendale era molto legata ad apparati di design e comunicazione, ora mi verrebbe da dire che il vantaggio competitivo e di impatto su mercato possa essere proprio legato al Knowledge Management. La “brand identity” sarà sempre di più una “knowledge identity”, e solo chi saprà far leva su questi nuovi strumenti per strutturare (Data Governance), aumentare (RAG) ed amplificare (Generative AI) il proprio patrimonio di conoscenza sopravviverà e prospererà nel mercato. Occorre uno shift culturale ed è sicuramente urgente dotarsi di nuovi strumenti per fare il salto di qualità.

E voi siete pronti per questa decisiva trasformazione digitale? Cosa sta accadendo nelle vostre aziende? È solo una mia percezione o anche voi pensate che sia in atto una grande rivoluzione?