Da quando, nel 2012, la figura professionale del data scientist è salita agli onori della cronaca grazie all’articolo dell’Harvard Business Review “Data Scientist: The Sexiest Job of the 21st Century”, il suo ruolo all’interno delle realtà aziendali con forte spinta innovativa è diventato sempre più importante e richiesto.

Un data scientist è un esperto nell’ottenere insight da una mole impressionante di dati, strutturati o meno, al fine di intercettare i bisogni legati agli obiettivi business di un’azienda.

L’Outlook Mathesia 2019 evidenzia come la scienza dei dati si sta sviluppando con rapidità tale da impattare sia sulla nostra vita quotidiana, sia sulle modalità di lavorare e fare impresa.

La formazione del data scientist richiede competenze specifiche nei campi dell’Ingegneria, Informatica, Economia, Matematica e Statistica.

Nel 2018, le grandi aziende che hanno avuto al proprio interno, formalizzata o meno, almeno una figura di data scientist sono state il 46% (+1% rispetto al 2017); nel 2019 questo dato è salito al 49% (+3%).  

 

In quanto data scientist presso Linkalab, mi piace citare la frase di De Mauro, responsabile per l’Europa meridionale del team di Data Analytics di Procter & Gamble, che afferma che La giornata tipo del Data Scientist è un mix di arte e scienza”.

Premesso che cambia molto a seconda del settore in cui si lavora, unisce creatività e metodo scientifico.

Si comincia con un meeting con il team di business, quindi con i responsabili del marketing o delle vendite e di altri settori, per aggiornarsi sullo stato del business e capire le necessità per cui il dato può fare la differenza.

Poi c’è una parte di brainstorming per decidere le metodologie analitiche da usare, infine attività di project management.

Da un’intervista rilasciata dal direttore dell’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence emerge il fatto che assumere un data scientist non è risolutivo nella gestione dei progetti sui processi aziendali se questa figura non è affiancata da un team che coinvolga attori differenti, come data engineer, project manager, data analyst e altri, e se non si usano software che favoriscano la collaborazione all’interno del team.

Ancora più importante, tecnologie avanzate e competenze specializzate non sono realmente disruptive se la Data Science non diventa una componente strategica dell’azienda.

In Italia però la sua importanza è ancora in parte sottovalutata: sul fronte aziendale, soprattutto per quanto riguarda le piccole-medie imprese (PMI), le rilevazioni confermano che solo piccole percentuali delle PMI stanno investendo su questa figura.

Sul fronte della formazione accademica si osserva invece un forte incremento dell’offerta di diversi atenei in svariati corsi di studi, ma ancora è troppo presto per poter osservare il contributo che questi studenti specializzati potranno dare alla crescita del mercato. 

Panoramica della situazione generale Italiana negli ultimi due anni

La tabella qui sopra mostra riporta una sintesi dei dati forniti dall’Osservatorio Big Data Analytics & Business Intelligence.

Possiamo affermare che il valore di mercato dei Big Data Analytics è passato nel 2019 da 1.4 mld a 1.7 mld di euro, con un calo di crescita, rispetto all’anno precedente, del 3%.

Nello specifico possiamo evidenziare che: 

  • nel 2018, in termini di investimenti per la gestione di Big Data, l’88% della spesa si concentra sulle grandi imprese, mentre le PMI sono ferme al 12%; 
  • nel 2019 il 93% delle grandi imprese investe in progetti di Analytics, contro il 62% delle PMI. 

La totalità delle grandi organizzazioni adotta Analytics di tipo descrittivo, ma molte stanno sperimentando un’evoluzione verso logiche di predictive, prescriptive e, in alcuni casi, automated Analytics.

Tenendo conto di questo scenario odierno e secondo le previsioni e stime future, in Linkalab abbiamo avviato un progetto di Data Science as a Service proprio per poter supportare e abilitare tali approcci.

L’evoluzione passa attraverso tecniche di Machine Learning e Deep Learning, che abilitano nuove tipologie di analisi, e di Real-Time Analytics.

Il 62% delle grandi aziende dichiara di avere necessità di competenze specifiche di Machine Learning e Deep Learning.

 

Tra queste, poco più di un terzo le ha già introdotte in organico e un ulteriore 30% prevede di farlo nei prossimi due anni.

Poco più di un’azienda su dieci (11%) invece sfrutta oggi modalità di analisi in Real-Time o in Streaming, in cui vi è un flusso continuo di raccolta dei dati che devono essere analizzati con continuità.

  • Un ulteriore 33% possiede un’infrastruttura che consente analisi in Near Real-Time, con una frequenza d’aggiornamento che scende a meno di un’ora.
  • Il 56% delle organizzazioni analizza i dati in modalità batch, con un aggiornamento del sistema a intervalli regolari e predefiniti (solitamente giornalieri).
  • Cresce l’esigenza di competenze di Data Science: il 46% delle grandi imprese ha già inserito figure di data scientist in organico, il 42% data engineer, il 56% data analyst.  

Oltre all’incremento di figure professionali dedicate, nel 2019 si registra anche una maggiore maturità nei modelli di governance della Data Science.

  • Le aziende mature, quelle che hanno inserito un numero significativo di figure di Analytics in diverse funzioni aziendali e che ne favoriscono la crescita, sono passate dal 31% nel 2018 al 50% nel 2019, mentre quelle che adottano un approccio tradizionale passano dal 55% al 20%.
  • Nel 2018, il GDPR ha avuto un impatto sulle iniziative di Big Data Analytics in termini di azioni intraprese dalle aziende e di implicazioni sui progetti, con azioni sulle policy interne, sia di accesso ai dati (62%) sia di conservazione (55%).
  • Il 43% delle grandi aziende ha inserito delle voci relative agli Analytics nelle nuove informative sulla privacy rivolte ai clienti, mentre il 24% ha investito in tecnologie specifiche.
  • Meno di una grande azienda su tre (30%) ha dichiarato che l’avvento del GDPR ha rallentato i progetti di Analytics in corso e soltanto l’1% ha dovuto bloccare delle iniziative a causa della nuova normativa.
  • Per circa un’azienda su cinque (il 22%) il GDPR ha avuto un impatto positivo, soprattutto perché ha aumentato la consapevolezza sulle potenzialità degli Analytics (17%) e poi perché la presenza di un chiaro quadro normativo ha permesso di pianificare nuove iniziative nel medio-lungo periodo (5%).
  • Per il 38% delle grandi aziende il GDPR non ha avuto nessuna conseguenza in ambito analisi dati: un segnale positivo, perché indica che queste aziende erano già preparate per adattarsi al cambiamento normativo. Infine, il 9% delle grandi organizzazioni non sa come valutare l’impatto del fenomeno.

Se hai esigenza di approfondire come la Data Science può accelerare e far crescere il tuo business, puoi prenotare una call gratuita con noi.

Esperienze di un data scientist

In rete si trovano diverse testimonianze di chi ha sperimentato la difficoltà di svolgere attività di Data Science in Italia.

Ad esempio, Lorenzo Tarantino, CEO di Daskell, una Startup che aiuta a velocizzare il processo di transizione verso una strategia data-driven, nel 2019 segnalava un gap di competenze e avanzamento tecnologico in Data Science tra l’Italia e la Svizzera, dove lui si è formato professionalmente.

È molto importante l’opinione di Silvia Candiani, Amministratore Delegato di Microsoft Italia, la quale sottolinea che esiste un divario tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle realmente disponibili.

Mancano professionisti qualificati nel settore ICT dove nel 2020 si stima si apriranno 135 mila nuove posizioni che non potranno essere coperte.

È indispensabile quindi investire nella formazione avanzata e aiutare i nostri giovani ad acquisire quelle competenze che serviranno per i lavori del futuro.

Paola Masuzzo, data scientist a Ghent per una multinazionale e ricercatrice indipendente per l’Institute for Globally Distributed Open Research and Education, afferma:

“Ho cercato lavoro in Italia ma o ero troppo qualificata o avevo poca esperienza. In più, le poche posizioni per cui andavo bene erano a malapena retribuite”.

 

Lei è andata via 8 anni fa dall’Italia e oggi ritiene che le piacerebbe tornare nel nostro Paese ma l’Italia oggi non potrebbe offrirle le stesse possibilità che le dà il Belgio.

Nonostante le difficoltà che abbiamo discusso, esistono ovviamente esempi positivi come quello di Alberto Danese, senior data scientist in Cerved, che nel 2018 è stato tra i migliori data scientist a livello internazionale.

La passione per il mondo dei dati e la costante ricerca di nuove sfide lo hanno portato ad approfondire i più recenti sviluppi della Data Science anche al di fuori dell’ambito aziendale.

La sua opinione evidenzia un futuro ancora non definito per la Data Science e il suo messaggio è un invito a una stretta collaborazione tra i partecipanti a questa spinta verso l’innovazione:

Il mondo del data scientist e dell’intelligenza artificiale evolve così velocemente che è difficile prevedere cosa succederà da qui a 3 anni. […]

Penso che oggi sia fondamentale l’apprendimento continuo e che si debba evitare l’autoreferenzialità: “una community aperta, variegata e internazionale, unita dalla passione per i dati, mi sembra un’ottima soluzione.”

 


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