I dati pervadono le nostre vite, si arriva a parlare di ‘data deluge’, il diluvio dei dati, e paradossalmente questa grande massa di byte, i famosi e imprecisati Big Data, sono prodotti dalle nostre azioni, prevalentemente attraverso la partecipazione ai sistemi sociali online, gli stessi dati (anche quelli di tutti gli altri utenti), dai quali a nostra volta siamo inondati.
Si stima che quotidianamente produciamo svariate decine e in prospettiva centinaia di ExaByte (10^18), portando il nostro universo digitale, cioè tutti i dati disponibili ad oggi, verso lo YottaByte (10^24), numeri molto lontani dai quotidiani Megabyte dei nostri documenti e i GigaByte delle memorie di massa che utilizziamo per conservare file di ogni genere sui nostri computer.
Per produrre questi dati passiamo una frazione rilevante del nostro tempo su Facebook, Instagram, TikTok e come nel film The Matrix in quei momenti è come se vivessimo una vita virtuale, mediata dai computer, affidando alla rete anche i dettagli più intimi della nostra vita di relazione.
Parafrasando Shakespeare in maniera un po’ maldestra, potremmo dire che su internet ‘siamo fatti della stessa sostanza dei dati’, e quindi facile preda di chi quei dati sa raccoglierli e manipolarli per sviluppare prodotti pubblicitari estremamente personalizzati e talvolta invadenti.
Se volessimo vederla da un punto di vista più ottimistico l’analisi attenta di questo immenso patrimonio informativo potrebbe darci delle utili indicazioni sociologiche e anche logistiche, visto che il tracciamente non è solo sulle nostre narrazioni relazionali, ma anche sulle posizioni fisiche in movimento nello spazio. È come se fossimo tutti esposti a un gigantesco esperimento sociale, che raccoglie il dettaglio microscopico di ogni nostra azione, alla stregua di un vero e proprio acceleratore di particelle informative che si frantumano sotto la superficie dei social, ci consentisse di intuire le nostre preferenze, di ricostruire i nostri gusti, su un vestito o uno shampoo, di intuire la propensione per una destinazione turistica, o di cogliere addirittura i nostri stati d’animo.
È una produzione di dati a ciclo continuo che passa da dispositivi personali come i nostri smartphone, ma che sta avendo una nuova deriva nei dati prodotti dagli apparati IoT (Internet of Things, l’Internet delle cose), oggetti che se dotati di opportuni dispositivi comunicazione e auto diagnosi sono in grado di avere quasi una vita propria.
La fonte quindi non è solo quella umana ma potenzialmente anche quella associata alle ‘cose inanimate’, che se opportunamente equipaggiate, possono moltiplicare la produzione di nuovi dati. Quello dell’IoT è una sorta di sensorizzazione del mondo da parte di internet. Questi dispositivi/cose sono collocati da qualche parte nello spazio, accompagnano le persone, abitano i veicoli e popolano gli edifici. Sono dei sensori per percepire cosa accade nel loro intorno per poi ritrasmetterlo sulla rete in flussi di dati ‘trasdotti’ dai segnali captati nell’ambiente. Ne sono un esempio i dispositivi IoT delle cosiddette Smart Cities.
Le applicazioni in ambito urbano sono le più variegate, toccano vari ambiti funzionali e geografici, e si sviluppano su molteplici scale, dal macro livello degli edifici e dei parchi, alle strade, alle piazze, fino ad arrivare ai dispositivi personali e agli smartphone.
Nella produzione di grandi masse di dati, in ambito Smart Cities è stato di grande propulsione il nuovo settore tecnologico del PropTech, che coniuga il tradizionale comparto immobiliare con le ultime tecnologie dell’AI e del geomarketing. Valorizzare gli immobili attraverso i dati della rete è un’evoluzione inaspettata degli ultimi anni. Un esempio eloquente di questa tendenza è il servizio Airdna (https://www.airdna.co/), che utilizza i prezzi e i dati di gradimento degli appartamenti di Airbnb, per quotare proprietà immobiliari nelle vicinanze degli stessi.
Questo è un ottimo esempio nel dimostrare che l’utilizzo dei dati, anche dalle fonti più inaspettate, può creare ricchezza in settori molto distanti da quelli per i quali erano stati creati. Più in generale i Big Data aprono grandi prospettive per il miglioramento dei sistemi urbani, come i trasporti, le infrastrutture, e come supporto generale alla progettazione e alla pianificazione del territorio. È nello stesso concetto delle Smart Cities di integrare i diversi livelli di scala per comprendere meglio le possibili interazioni tra le persone e tutto ciò che le circonda, e capire anche come regolare il funzionamento delle città. I dati possono costituire quindi la materia prima per la materializzazione di questa visione, se si possiedono i giusti strumenti di analisi e rappresentazione.
(il pezzo completo è apparso nella rivista About Cities a Gennaio 2023: https://www.aboutcities.it/blog/about-cities-numer-4-mobilita-urbana)