I manager nelle aziende non sempre sono portati a prendere decisioni basandosi sull’evidenza di ciò che i dati e le informazioni a loro disposizione gli suggerirebbero.
C’è sempre la tentazione di andare oltre o, se vogliamo, di anticipare quello che alcune semplici visualizzazioni delle nostre dashboard di “business intelligence” ci potrebbero rivelare sin dall’inizio.
È un eterno dilemma, sempre presente in chi deve prendere decisioni importanti, che non vogliono essere lasciate a un’entità esterna.
È una questione di responsabilità, se vogliamo, ma anche di fidarsi dei numeri, che non è detto siano sempre quelli giusti.
Il primo punto, nell’ordine, tra tutti quelli che occorre ben considerare in un processo decisionale basato sui dati, è quello di capire nel dettaglio la credibilità delle fonti e come sono stati trattati e ripuliti.
Nelle cosiddette procedure di ETL (Extract-Transform-Load) è possibile che vengano commessi degli errori grossolani, che vengano introdotti dei “bias” che poi inficeranno qualsiasi elaborazione venga fatta su questi dati.
Un manager può verificare questi aspetti soprattutto se ha la giusta competenza di dominio, a valle di tutto il processo, quando vengono eseguite le prime analisi statistiche e generati i primi KPI.
È impensabile che chi debba prendere le decisioni finali non intervenga nel processo di trattamento del dato sino a risalire alle sue origini.
Le procedure ETL non sono di sicuro di sua competenza, ma affiancandogli il “data analyst” può intercettare quali sono eventualmente i punti critici, se non addirittura degli errori materiali.
Inoltre non è detto che le fonti scelte in principio sia sufficienti per sostanziare un indice e anche la scelta delle visualizzazioni gioca un ruolo importante per avere la giusta visione d’insieme e non farsi prendere da abbagli.
Quello che sto descrivendo è se vogliamo, un caso fortunato in cui i procedimenti sono chiari, la consapevolezza è alta e la cultura aziendale sul monto dei dati è già matura.
Nella nostre attività consulenziali con Linkalab ci siamo spesso trovati in situazioni molto più complicate da gestire.
Consulenze e data intelligence
Una richiesta tipica che veniva dal management è spesso stata: come posso “visualizzare” meglio i miei dati?
Sembra paradossale al giorno d’oggi ma molte aziende, anche con fatturati da decine se non addirittura centinai di milioni di euro hanno difficoltà a guardare dentro i propri data warehouse.
Infatti quello che capita è che spesso questi dati, quelli interessanti, sono intrappolati dentro mastodontiche applicazioni che, in “silos” separati, gestiscono i cicli di fatturazione, i fornitori, i clienti, il magazzino ecc..
Questi applicativi propongo delle rudimentali forme di esposizione visualizzazione dei dati, mai in un’ottica d’interscambio con gli altri applicativi, e di fatto impediscono una visione profonda e alternativa all’uso che strettamente quelle applicazioni fanno di quei dati.
Quindi quello che proponiamo quando entriamo in una di queste aziende è di “liberare i dati”.
Introducendo in parallelo ai sistemi informativi esistenti, un piccolo “data lake” che comincia ad attingere in maniera non invasiva da tutte queste fonti dati interne.
Magari mescolandole con qualche fonte esterna, come i social per esempio, o i dati de meteo dove fossero rileganti, per dare un nuovo punto di vista sistemico alle dinamiche aziendali.
A partire da questo piccolo data lake, che poi è facile far scalare, si innestano delle prime dashboard esplorative che vendono sottoposte al management in un processo di raffinamenti successivi che portano infine alle metriche adatte per i processi decisionali.
Non sempre però i dati sono già presenti, o almeno in alcuni casi lo sono solo potenzialmente.
È buona norma porsi sempre il problema di misurare i fenomeni.
Questo implica andare a scavare nei log allo stato “grezzo” da qualche device che non era mai stato preso in considerazione (accessi alle stanze degli uffici, utilizzo dei vari servizi in azienda), oppure dotarsi di un nuovo software che indaga meglio l’esperienza d’uso del sito di e-commerce, andando a tracciare i percorsi del mouse nelle varie pagine web.
Anche questi dati contribuiscono al monte complessivo di dati interni ed esterni che se ben convogliati e analizzati in una dashboard, secondo dei criteri di visualizzazione utili per prendere decisioni, diventano un asset strategico per il manager.
Alla fine del processo però c’è sempre l’uomo.
Sarebbe altresì pericoloso se ci si nascondesse dietro i dati per prendere la decisione finale, quella cruciale: “me lo dice questo grafico quindi ci liberiamo di questo asset”.
Le macchine non hanno percezione di se stesse, non hanno una coscienza, quindi c’è sempre un uomo che deve assumersi la responsabilità finale, fidandosi fino a un certo punto, secondo il suo istinto, degli strumenti che lui stesso ha costruito, sui quali ha messo la sua stessa intelligenza e dai quali può prendere spunto per assumere le sue decisioni.
La raffinatezza di avere l’intuito per prendere una direzione piuttosto che un’altra alla fine è ancora una caratteristica prettamente umana.